Diagnosi non invasiva di foci epilettici
DIANE RICHMOND
NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 01 maggio 2021.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia).
Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società,
la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste
e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
I disturbi epilettici considerati nel loro
insieme interessano circa 70 milioni di persone in tutto il mondo, un terzo delle
quali risulta purtroppo refrattaria alle terapie farmacologiche e, se la zona
epilettogena (EZ, epileptic zone) può
essere localizzata con precisione, viene sopposta a trattamento chirurgico per controllare
o arrestare le crisi. Lo standard neurologico attuale prevede la determinazione
mediante elettroencefalografia intracranica (iEEG)
dell’area di origine dell’alterazione elettrica (SOZ, seizure-onset
zone). Tale procedura diagnostica richiede un monitoraggio invasivo per più
giorni, al fine di individuare la comparsa spontanea dell’attività anomala, e consente
di delineare solo approssimativamente la EZ. Sebbene la iEEG
nella maggior parte dei casi fornisca le informazioni bioelettriche richieste, presenta
il limite del campionamento regionale, del notevole disagio psicologico e del
rischio legato agli elettrodi impiantati per un tempo protratto. È perciò di
grande attualità clinica la ricerca volta a identificare approcci non invasivi
per localizzare la EZ e definirla con immagini sulla base di registrazioni classiche
dalla superficie cranica.
Le oscillazioni di alta frequenza (HFO) esistenti in
elettroencefalografia sono altamente correlate al cervello epilettico, e
considerate molto promettenti per guidare efficacemente la neurochirurgia. Ma,
finora non è chiaro se e come le HFO patologiche possono essere distinte per
localizzare i tessuti epilettogeni, data la presenza di varie attività di alta
frequenza che non sono di natura epilettica.
Zhengxiang Cai e colleghi hanno dimostrato che l’imaging morfologico
e dell’origine dell’attività elettrica anomala evidenzia che le HFO patologiche
possono essere identificate dalla concorrenza di picchi epilettiformi. Sulla
base di questo biomarker gli autori suggeriscono un criterio per identificare
con una procedura non invasiva i foci epilettici.
(Cai Z. et
al., Noninvasive high-frequency oscillations riding spikes
delineates epileptogenic sources. Proceedings
of the National Academy of Sciences USA 118 (17) e2011130118 – Epub ahead
of print doi: 10.1073/pnas.2011130118,
2021).
La provenienza degli autori è la seguente: Department
of Biomedical Engineering, Carnegie Mellon University, Pittsburgh PA (USA); Department
of Neurology and Physiology, Mayo Clinic, Rochester, MN (USA); Department of Biomedical
Engineering, Mayo Clinic, Rochester, MN (USA).
L’epilessia intesa in senso lato è conosciuta
fin dall’antichità classica quando, per l’improvvisa comparsa di crisi di
grande male in partecipanti ad assemblee religiose era detta “male sacro” o
per il verificarsi della stessa evenienza durante adunate civili era denominata
“mal comiziale”. Per la caratteristica dell’improvvisa perdita di tono della
muscolatura di arti e tronco con la repentina caduta al suolo, era anche detta “mal
caduco”. L’origine è rimasta oscura per circa due millenni. Nel 1870 l’eminente
neurologo britannico Hughlings Jackson, oggi citato
soprattutto per la marcia jacksoniana, ipotizzò che le convulsioni fossero
dovute a “un’eccessiva e disordinata scarica del tessuto nervoso cerebrale sui muscoli”.
Si era già compreso che tale scarica – anche se ancora di origine misteriosa –
fosse responsabile della possibile e quasi istantanea perdita della coscienza,
così come di movimenti convulsivi e alterazioni percettive e psichiche. A
lungo, però, si è dubitato dell’origine psicogena delle crisi[1] e, nel
corso del Novecento, sono stati ipotizzati legami eziopatogenetici con l’isteria
e fu definita la categoria nosografica dell’istero-epilessia.
Attualmente le crisi epilettiche sono considerate
una improvvisa alterazione del sistema nervoso centrale caratterizzata da una scarica
elettrica di alto voltaggio parossistica di alta frequenza o sincrona di
bassa frequenza[2].
Le crisi comiziali o epilettiche propriamente dette
richiedono 3 condizioni: 1) una popolazione di neuroni patologicamente
eccitabili; 2) un aumento dell’attività eccitatoria principalmente
glutammatergica, attraverso connessioni ricorrenti che possono diffondere la
scarica; 3) riduzione dell’attività delle proiezioni inibitorie GABAergiche.
Nonostante dubbi e obiezioni per ciascuno dei tre
processi, continuano ad essere prodotti dati che suffragano la loro presenza e
importanza nella genesi delle crisi[3].
La classificazione attuale delle epilessie deriva da
quella proposta da Gastaut nel 1970 e costituisce il
riferimento fondamentale per la diagnosi neurologica; la sua esposizione non si
presta a sintesi, in quanto costituisce il paradigma clinico di base per lo
studio, la diagnosi e la terapia di tutte le numerose e differenti forme di anomalia
note di eccitazione e scarica dei neuroni cerebrali. Rinviando a trattati e
manuali di neurologia, qui mi limito a ricordare solo qualche principio
generale a scopo orientativo.
Una distinzione tradizionale riporta tutte le forme a
due tipologie elementari: 1) crisi focali (un tempo dette “crisi
parziali”) in cui un’origine localizzata o focale può facilmente essere
riconosciuta all’EEG o clinicamente; 2) crisi generalizzate ad inizio
bilaterale.
Le forme di epilessia generalizzata sono convulsive
o non-convulsive, secondo una dicotomia non riflessa nelle
classificazioni, ma concettualmente fondamentale. Il comune tipo convulsivo
presenta attacchi tonico-clonici secondo la manifestazione tipica del grande
male epilettico[4], mentre
sono meno frequenti le forme esclusivamente toniche, solo cloniche o cloniche-toniche-cloniche.
La tipica forma di epilessia non convulsiva generalizzata è quella
caratterizzata da una breve mancanza di coscienza o assenza (piccolo
male epilettico); si considerano in questo ambito anche le forme
caratterizzate da fenomeni motori minori, quali brevi attacchi mioclonici,
tonici o atonici.
Torniamo ora all’ambito specifico dello studio qui
recensito.
Da tempo le oscillazioni di alta frequenza (HFO)
sono considerate promettenti biomarker per la localizzazione delle aree
epilettogene cerebrali e per guidare efficientemente la neurochirurgia. Ma l’effettiva
utilità e la “traducibilità” delle HFO ottenute con metodo non invasivo sono
condizionate dalla difficoltà di distinguere le HFO patologiche dalle attività
elettriche di alta frequenza non epilettiformi. Inoltre, nelle registrazioni
non invasive dalla superficie esterna del cranio permane una difficoltà nella
localizzazione del tessuto epilettogeno per la tipica contaminazione con un
alto livello di “rumore” rispetto al “segnale” che interessa.
Zhengxiang Cai e colleghi dimostrano che la concorrenza coerente di
HFO con picchi epilettiformi fornisce uno strumento per identificare
automaticamente HFO patologiche, e questo a sua volta demarca un sottogruppo di
picchi epilettiformi con maggiore rilevanza epilettica, rispetto ad altre punte
di potenziali in una coorte di 25 pazienti affetti da epilessia temporale.
I ricercatori hanno trovato significative
distinzioni morfologiche di HFO e picchi in presenza/assenza di questo status
contemporaneo. E poi hanno dimostrato che l’imaging della proposta fonte
di HFO epilettogene evidenziava la localizzazione del tessuto epilettogeno del
162%, per la concordanza con la resezione chirurgica, e del 186% con la zona di
insorgenza delle crisi determinata da studi non invasivi, e posta a confronto
con le immagini convenzionali dei picchi. Il rilievo presentava una congruità
maggiore con gli esiti chirurgici.
Zhengxiang Cai e colleghi affermano che sorprendentemente la resa dell’imaging
dei picchi era selettivamente accresciuta dalla presenza di picchi con HFO
epilettogene, specialmente nei pazienti con polipunte
nel tracciato EEG.
Concludendo, gli esiti di questo studio suggeriscono
che HFO e picchi concorrenti reciprocamente discriminano attività patologiche,
fornendo uno strumento di utilità clinica per una diagnosi pre-chirurgica
non invasiva e una valutazione post-chirurgica in pazienti vulnerabili.
L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella
Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Diane Richmond
BM&L-01 maggio 2021
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organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Attualmente le crisi che non derivano da scariche neuroniche
anomale sincrone, ma risultano clinicamente simili a crisi epilettiche, sono
dette PNES (psychogenic non-epileptic seizures) e devono
essere sempre considerate per la diagnosi differenziale.
[2] Adams and Victor’s Principles of Neurology 10th edition (Ropper, Samuels,
Klein), p. 333, McGraw Hill, New York 2014.
[3] Adams and Victor’s Adams and Victor’s,
op. cit. idem.
[4] L’esatta conoscenza degli eventi
sintomatici e della loro sequenza è molto importante perché la loro tipicità e
costanza consente di formulare la diagnosi di crisi generalizzata di grande
male sulla base della semplice osservazione.